giovedì 22 settembre 2016

O: Otto agosto (Battaglia)

Quando nobili e popolani sconfissero gli austriaci. La vittoria del 1848 divenne una data da celebrare.
La Battaglia dell'8 agosto  1848 si protrasse per solo tre ore, fra le cinque e le otto del pomeriggio. Sulle barricate (un'invenzione dei movimenti europei del 1848) si trovarono fianco a fianco nobili e popolani, professionisti e facchini, uomini, donne e ragazzi: finita la battaglia, i bolognesi contarono 59 morti e decine di feriti. Gli austriaci, più numerosi e con alcuni cannoni, ebbero più di 400 morti. Le campane che avevano chiamato a raccolta il popolo, suonarono alla fine della battaglia in segno di vittoria.
Dopo l'Unità di Italia la data dell'8 Agosto divenne per i bolognesi una ricorrenza irrinunciabile. Ogni anno le organizzazioni laiche (la Società operaia, le Società di mutuo soccorso, le cooperative, le Associazioni di ex combattenti) organizzarono manifestazioni per ricordare l'eroica giornata che vide il popolo in armi impedire agli austriaci l'ingresso in Bologna. La celebrazione dell'8 agosto divenne una festa di orgoglio cittadino, il ricordo ancor vivo di una pagina di storia che aiutava a rimuovere altri periodi storici meno brillanti. Inoltre, l'8 agosto si ritrovavano, gli uni accanto agli altri, nobili e popolani, intellettuali e parenti dei protagonisti di quella giornata.
Quanto a partecipazione popolare, solo la Madonna di San Luca faceva "concorrenza" all'8 agosto.  Fra gli animatori di queste iniziative vi fu il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, che aveva partecipato alla battaglia dell'agosto 1848: amico di Minghetti, deputato dal 1860, fondò una società di mutuo soccorso denominata "Fraternità" per riunire i superstiti della battaglia dell'8 agosto. Con i versamenti dei soci, la Società potè garantire sussidi a coloro che erano malati o poveri. Va detto che negli stessi anni presero vita altre simili Società rivolte ai superstiti delle guerre risorgimentali. Nonostante una certa rivalità politica, queste associazioni raggiunsero lo scopo di far crescere il sentimento di appartenenza all'Italia e l'orgoglio di aver combattuto per cacciare lo straniero dal suolo patrio: in queste ricorrenze, gli aderenti alle varie società sfilavano in uniforme e con la fanfara.
Il '48 fu un fenomeno europeo di grande portata, figlio delle nuove idee libertarie nate nel 1789. A Bologna, la grande fiammata del '48 fu seguita da una crudele restaurazione: nel maggio 1849 gli austriaci assediarono Bologna per 9 giorni, bombardandola dai colli: il 16 maggio gli austriaci rioccuparono la città. L'8 agosto 1849 commemorarono la data fucilando il sacerdote barnabita Ugo Bassi assieme al capitano Giovanni Livraghi. Oggi, il ricordo della battaglia dell'8 agosto è rappresentato dal "Popolano", il monumento in bronzo di Pasquale Rizzoli posto all'ingresso della Montagnola e inaugurato nel 1903 fra le polemiche. Nella facciata del Palazzo Comunale vi è una lapide con incisi i nomi dei caduti. Gli austriaci (e il Cardinal Legato) se ne andarono definitivamente il 12 giugno 1859. La denominazione della piazza fu decisa dal Comune il 3 dicembre 1874.

martedì 20 settembre 2016

N: Neve (nevicate e vicolo della Neve)


Fiocchi anche a giugno. Così gelò la città nel 1359. Per rimuovere i cumuli si usava l'acqua dei canali.
Una nevicata in giugno o due metri di neve a gennaio erano considerati dagli antichi cronisti - come ora - notizie  da tramandare ai posteri. Spigolando nelle cronache  apprendiamo che il 12 giugno 1359 nevicò fino a quattro braccia di altezza (cioè due metri e mezzo)! Nel 1965 vi fu neve fino a maggio: fra Natale e capodanno cadde una tale quantità che crollarono molti tetti di edifici, fra i quali il tetto del salone del Palazzo del Podestà e subì gravi danni quello del Palazzo comunale. Nevicò molto anche a Carnevale e alla fine di marzo: per eliminare i cumuli di neve si utilizzò l'acqua dei canali con inondazioni controllate per non danneggiare  le cantine dove si svolgevano attività artigianali, per lo più tessili. A maggio, fra lo sconforto dei cittadini, riprese a nevicare.
Anche il 1740 fu un anno freddo: fra gennaio e maggio nevicò 33 volte; ma il freddo continuò a imperversare al punto che un frate dell'Osservanza scrisse che si è portato il mantello fino al 29 luglio. Le conseguenze di ogni tipo di maltempo erano carestia, miseria e morte; perciò si pregava e si tenevano processioni. Da non dimenticare che lo sgombero della neve era affidato ai cittadini che, però, la accumulavano lungo le strade rendendole impercorribili per carri, carretti e carrozze.
La prima volta che i bolognesi pagarono per la rimozione della neve fu nel 1803 dopo l'eccezionale nevicata del 18 febbraio: il governo dei francesi imposte agli inquilini una tassa pari all'1,10€ dell'affitto.
Famosa fu la nevicata dell'inverno 1829-1830, forse la più importante mai avvenuta a Bologna: nevicò per 324 ore nel corso di 96 giorni fra il 17 novembre 1829 ed il 21 febbraio 1830. La temperatura precipitò fino a 17 gradi sotto zero e per quasi 60 giorni la temperatura  media si attestò sotto lo zero. Nei primi 15 giorni di nevicate caddero 4,5 metri di neve.
Un secolo dopo, fra il 10 ed il 14 febbraio del 1929, la neve scese per cinque giorni, senza sosta, (80 centimetri) e la temperatura raggiunse i 15 gradi sotto zero provocando la rottura  di tubazioni dell'acquedotto. Tetti crollati, scuole chiuse, case fredde per mancanza di carbone, negozi chiusi, broncopolmoniti a volte letali, fratture varie a seguito di cadute.
Nel dopoguerra, da segnalare le nevicate del 1956 (63 centimetri), del 15 gennaio 1960, 25 cm in una sola notte, del 1963 (50 centimetri): la risposta del Comune fu l'assunzione di ben 1000 spalatori che liberarono le strade. Solo negli anni successivi entrarono in funzione i mezzi spazzaneve.
Una curiosità: a Bologna, fino al 1808, esisteva una chiesetta intitolata a Santa Maria della Neve: la gestiva la Arciconfraternita romana obbediente al culto di Santa Maria della Neve, che ebbe origine il 5 agosto del 342 quando una strana nevicata imbiancò solo il colle romano dell'Esquilino. A questa Arciconfraternita  fu affidata l'amministrazione dell'Opera Pia del Riscatto, che aveva come scopo quello di raccogliere i fondi per riscattare i bolognesi cattolici caduti nelle mani dei musulmani e ridotti alla schiavitù.

venerdì 9 settembre 2016

Torta per tranci allo yogurt e limone

Ieri è stato il compleanno di mio marito. Questa è la torta che ha interamente preparato mia figlia. L'ha vista su una rivista, lì la presentavano come tranci quadrati, lei l'ha rivisitata  e l'ha fatta intera rotonda per l'occasione.Buona, molto buona. Semplice e buona. Non sono riuscita a travasarla su di un piatto da portata per l'occasione perchè ha finito il dolce tardi quindi non ho voluto azzardare di rovinarla. Abbiamo fatto qualche variazione che riporto tra parentesi nelle dosi degli ingredienti.
A dispetto della foto era molto buona.

Tranci allo yogurt e limone

Ingredienti

per la base

125 gr burro
150 gr savoiardi (200 biscotti oswego)
150 gr amaretti (100 gr amaretti)

per la crema

10 fogli di gelatina (8)
2 limoni non trattati
750 ml yogurt (250 gr ricotta 500 yogurt)
100 gr zucchero
2 bustine zucchero vanigliato (4 cucchiai)
1 presa di sale
250 ml di panna

zucchero a velo
lamponi per guarnire

Per la base fare sciogliere il burro. Con l'aiuto di un mattarello sbriciolare i biscotti e mescolarli accuratamente con il burro sciolto. Rivestire di carta forno una teglia alta. Distribuire come base i biscotti sbriciolati premendo bene (ovviamente, visto che abbiamo fatto la torta e non i tranci abbiamo usato una teglia con il bordo removibile) . Mettere in frigorifero per circa 30 minuti.
Ammorbidire la gelatina  in acqua fredda per 10 minuti. Lavare con acqua calda i limoni, asciugarli, grattugiare la scorza e infine spremere il succo. Mescolare lo yogurt con la scorza e il succo di limone lo zucchero vanigliato e il sale. Montare la panna fino ad avere una consistenza solida.
Mettere la gelatina in una casseruola senza strizzarla, scaldarla leggermente in modo che si sciolga. Quindi incorporare alla gelatina 3 cucchiai di yogurt al limone, poi amalgamare allo yogurt rimanente. Incorporare quindi la panna montata e spalmare il tutto sulla base dei biscotti.
Coprire e mettere in frigorifero per almeno 4 ore.  Prima di servire spolverizzare il dolce con lo zucchero a velo e guarnirlo con lamponi o frutta a piacere. Teglia 22/24 cm.

giovedì 8 settembre 2016

M: Mortadella

Il salume amato nelle Curie . Fine e più caro del prosciutto. Cibo per ricchi nel Seicento. Poi la gloria in scatola.
Sbaglia di grosso chi pensa che la mortadella sia stata un cibo per poveri; al contrario, fino alla seconda metà dell'ottocento se la potevano permettere solo i ricchi. Infatti, come si legge in un bando del 21 dicembre 1624, il prosciutto costava 4 bolognini la libbra (una libbra=360 grammi) e la mortadella 14 bolognini. Il motivo del prezzo triplo rispetto al prosciutto dipendeva dai costi della lunga ed elaborata fabbricazione artigianale; costi che scesero quando, dal 1870, la produzione passò da artigianale a industriale.
La mortadella, quindi, era considerata un prodotto raffinato e per tavole importanti: per eempio, era presente in tutti i pranzi ufficiali che si svolgevano a Palazzo.  A diffondere la fama della mortadella furono gli studenti stranieri, i viaggiatori, i personaggi che la ricevettero in dono: fra i vari promotori vi fu anche Prospero Lambertini, che quando divenne Papa, riceveva a Roma la fornitura di mortadelle, attese con ansia dalla sua corte. Il Governo cittadino fu sempre attento a tutelarne le qualità e la produzione che era affidata, in esclusiva, all'Arte dei Salaroli, costituita nel 1242.
Non mancarono imitazioni e sofisticazioni: perciò, il Cardinal Legato nel 1661 vietò, per la fabbricazione delle mortadelle, l'uso di carne che non fosse di maiale. Dunque, la mortadella DOC fu sempre e solo quella prodotta dall'Arte dei Salaroli fino alla loro soppressione da parte di Napoleone. Dalla seconda metà dell'ottocento, visto il gradimento anche all'estero della mortadella bolognese, i fabbricanti si posero il problema di individuare una confezione che ne mantenesse la freschezza e l'integrità. Forse fu il salumiere bolognese Alessandro Forni a trovare la tecnica giusta facendo ricorso a scatole di latta; ma pare sia stato Filippo Benefenati a scoprire la tecnica di saldatura che impediva all'aria di insinuarsi nella scatola. Benfenati aprì un'azienda per produrre le scatolette di latta perfezionando la tecnica di chiusura ermetica. Il successo fu enorme al punto che alla fine dell'ottocento da Bologna partivano ogni anno per i mercati esteri almeno 200 mila  "mortadelle in scatola" da mezzo chilo.

Anche se involontariamente, la mortadella incentivò la tecnologia del confezionamento dei prodotti alimentari: forse deve molto alla mortadella l'industria del "packaging" che proprio nel bolognese è divenuta un'eccellenza mondiale, creando, nel secondo dopoguerra, ricchezza e posti di lavoro. Una curiosità: in occasione del Carnevale del 1869, fu bruciato in Piazza un vecchione con la barba bianca, con un bicchiere in mano e seduto su una grande mortadella.
Oggi i legittimi eredi dell'Arte dei Salaroli sono i membri della Mutua Salsamentari che quest'anno compie i 140 di attività; essi sono i veri tutori dei salumi bolognesi e in particolare della mortadella, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, al punto che è diventata nota come "la Bologna". Ci sono dunque, ottime ragioni per considerare la mortadella parte della storia della città.

sabato 3 settembre 2016

Quadrotti alla ricotta e limone

L'ho visto navigando su internet e mi hanno incuriosito. Questi dolci, perfetti per accompagnare una tazza di tè o per una merenda, sono composti da un velo croccante e dorato di pasta brisée che costituisce la base ideale per accogliere una crema alla ricotta, densa e pastosa, caratterizzata dal succo e della scorza di limone.  La ricetta chiamava ricotta, io in casa avevo mascarpone e ho utlizzato quello. Non sono male, li preferisco sicuramente freddi.

Quadrotti alla ricotta e limone

Per la base

 90 g di burro freddo
 110 g di farina
 15 g di zucchero a velo
 1 cucchiaio d'acqua fredda

Per il ripieno

 220 g di ricotta vaccina (mascarpone)
150 g di zucchero semolato
 4 uova
 3 cucchiai di farina
 la scorza di 1 limone non trattato
 100 ml di succo di limone
1/2 bacca di vaniglia
zucchero a velo


Per la base: nel mixer amalgama velocemente il burro freddo a cubetti insieme allo zucchero e alla farina fino ad ottenere un impasto bricioloso. Tenendo l'apparecchio in funzione, aggiungi l'acqua e lavora fino ad ottenere una pasta omogenea che finirai di impastare brevemente a mano. Appiattiscila velocemente su di una spianatoia infarinata con il mattarello, quindi ponila all'interno di una teglia quadrata da 21 x 21 cm, imburrata e ricoperta con un foglio di carta da forno. Finisci di stenderla con le mani nella maniera più omogenea possibile, quindi poni in frigorifero per 30 minuti. Trascorso questo tempo, bucherella la superficie con i rebbi di una forchetta. Cuoci nel forno già caldo a 180° per circa 20-25 minuti, o comunque fino a doratura. Sforna e fai raffreddare completamente. 
Per il ripieno: quando la base sarà completamente fredda, riduci la ricotta in una crema, aggiungi le uova, uno alla volta, sbattendo il composto con le fruste elettriche. Aggiungi lo zucchero, il contenuto della bacca di vaniglia, la farina setacciata, la scorza di limone e, da ultimo, il suo succo. Dovrai ottenere una crema non troppo densa. Versa il tutto sopra la base, livella e cuoci nel forno a 180° per altri 30-35 minuti o comunque fino a quando la crema apparirà soda.
Fai raffreddare completamente quindi riponi in frigorifero per 2 ore. Taglia a quadrotti con un coltello, avendo cura di pulire la lama dopo ogni taglio. Spolvera con lo zucchero a velo e servi.





venerdì 2 settembre 2016

L: Lame

Dalle Paludi al Battiferro. Storia del rione sull'acqua. Ricordo di ville e industrie, dal 1985 fa parte del Navile.
Il termine "lama" fa pensare ad un'arma, ad un coltello: ma ha anche un altro significato, quello di terreno depresso  e paludoso con acque stagnanti. Ed è proprio questo il significato vero della zona Lame di Bologna che fino al secondo dopoguerra presentava queste caratteristiche prima delle azioni di bonifica.
Quartiere autonomo fino al 1985 fu poi inglobato nel quartiere Navile; infatti è attraversato dal Canale Navile e la toponomastica delle Lame conferma le vocazioni dell'area: "Pescarola" indica la pescosità delle acque, mentre "Beverara" segnala gli abbeveratoi per il bestiame. L'energia idraulica portò all'insediamento di preziosi mulini da grano. Che la zona non fosse solo acquitrino e pantano lo dimostra il fatto che facoltosi bolognesi vi costruirono le loro ville, come la cinquecentesca Villa Malvasia, ora abbandonata e in rovina lungo la via Zanardi e villa Salina in zona Bertalia.
La Beverara ha avuto grande importanza nella storia economica della città: infatti, prima del porto costruito nel 1548 nei pressi di porta Lame, fu il porto del Maccagnano (1284, via Bovi Campeggi) a svolgere la preziosa funzione di punto di riferimento del trasporto fluviale. La svolta per una migliore navigazione avvenne a metà del Cinquecento quando sul Navile furono costruiti i sostegni per consentire alle imbarcazioni di superare i dislivelli delle acque e per circa tre secoli il traffico merci e di persone ne trasse enorme beneficio; in seguito, quelle acque risultarono preziose per l'irrigazione e, all'inizio del Novecento, per alimentare la prima centrale idroelettrica realizzata al Battiferro. Inoltre, i terreni argillosi suggerirono l'impianto di fornaci per laterizi indispensabili per la costruzione di edifici e per la ricostruzione del dopoguerra. In una di queste fornaci dismesse, la fornace Galotti, è stato insediato il magnifico museo del Patrimonio Industriale.
Oltre alle fornaci lungo il Navile si insediarono anche quelle attività che potevano sfruttare l'energia delle acque, come la lavorazione dei metalli (da cui il nome Battiferro). Un'altra presenza fu quello dello zuccherificio, attivo per oltre 70 anni (chiuse nel 1970), che sorgeva dove era la villa di Carlo Broschi, il famoso cantante del '700 detto il Farinello. Ora, in quel luogo, vi è il centro di meccanizzazione postale e dello zuccherificio resta la ciminiera.
Verso la fine della prima guerra mondiale nelle Lame c'era il Lazzaretto per i malati di "spagnola" e la discarica della città; mentre l'ex ospedale militare divenne rifugio per senza casa, disadattati e malavitosi: fu chiamato "Baraccato" e qui si segnalò l'attività di padre Olinto Marella. In seguito il Comune costruì le case "popolarissime" e nel 1935 il "Baraccato" fu abbattuto. Nel 1932 l'Opera Pia Cassarini  Pallotti costruì il complesso di case dette "Gli Umili".
In altra occasione ci soffermeremo sulla porta Lame e sulla battaglia che il 7 novembre 1944 vide i partigiani combattere contro fascisti e tedeschi.